La storia del Borgo di San Pietro della Ienca
Il villaggio di San Pietro della Ienca, che sorge intorno all’omonima chiesetta medioevale, è quello stesso che risulta variamente specificato come “della Jenca” oppure Jenga, Genca o Genga. Il Diploma che l’Imperatore Ottone emanò (nel 956 dopo Cristo) da Aveia, dove si trovava in visita, cita la zona limitrofa al comprensorio in cui sorge San Pietro della Ienca, che però non viene menzionato: “Rotilianus simul cum toto Guasto ubi sunt… ad locum qui dicitur Vadus… alie petie de terra Adselici que tendunt usque
supra Paganicam, et usque in supradictum Vadum”. Ciò potrebbe lasciare supporre che, all’epoca, il villaggio non fosse ancora edificato, ovvero che esso, nel 956, non avesse assunto un rilievo tale da valergli la citazione in un documento ufficiale. Tra le località sottoposte alla giurisdizione episcopale forconese citate nella Bolla che il Papa Alessandro III indirizza a Pagano, Vescovo di Forcona, il 24 settembre 1178, si notano: “Ecclesiam S. Marie de Guasto, cum hominibus, et tendi mentis suis. Ecclesiam S. Petri de Guasto cum ho minibus, et tendimentis suis. Ecclesiam S. Nicolai de Genca cum ossessionibus suis”.
L’indicazione “S. Petri de Guasto” può riferirsi soltanto all’attuale San Pietro della Ienca. Al riguardo potrebbe sussistere qualche perplessità in quanto il villaggio di Guasto (o Vasto) avrebbe potuto comprendere anche una chiesa dedicata a San Pietro, oltre quella intitolata a Santa Maria. Tuttavia l’eventualità dell’esistenza di due chiese appare decisamente improbabile data l’esiguità della popolazione presente nel villaggio. Del resto, anche alla luce di altri documenti probanti, sussistono ottime ragioni per protendere verso l’ipotesi dell’esistenza, già nel 1178, dell’insediamento di San Pietro. Angelo Signorini (Storia della Diocesi dell’Aquila, L’Aquila, Grossi, 1868) asserisce che, dopo la devastazione di Forcona per mano dei longobardi (quindi assai prima dell’anno mille) una parte degli abitanti si disperse nei territori circostanti, dando origine agli insediamenti di Roio, Pile, Acquili, Paganica, Tempera, Gignano, Vasto, San Pietro, Assergi, Camarda, Filetto e altri. E’ ovvio che alcuni di quegli abitanti, preesistenti alla devastazione di Forcona, come Paganica, Assergi e presumibilmente Acquili, furono soltanto ampliati per effetto della immissione dei fuggiaschi forconesi. Allorché fu fondata L’Aquila, nel 1254, Guasto, Genca, San Pietro, Assergi, Camarda e Filetto furono tra i villaggi fondatori appartenenti al Quarto di Santa Maria Paganica, a ulteriore dimostrazione della preesistenza di San Pietro rispetto alla nuova città fortificata. Tale inconfutabile realtà destituisce di ogni fondamento l’ipotesi da taluni avanzata circa la derivazione del nome del villaggio di San Pietro da quello secolare del Papa Celestino V. Infatti, Celestino V (al secolo Pietro del Morrone) nacque nel 1251, venne consacrato Papa nel 1294 e infine proclamato Santo nel 1317, cioè quando già da tempo la denominazione “San Pietro” distingueva la chiesa e l’intero abitato circostante. Per altro nel documento di tassazione di Ponzio di Villanova del 1269 l’abitato di San Pietro viene chiaramente indicato come “S. Petrus de Fonte” con l’imposizione di un tributo di 4 once. Poiché Camarda veniva tassata soltanto di 2 once, se ne deduce che a San Pietro fioriva un’economia di maggiore entità, probabilmente dovuto alla più diffusa e intensa attività armentaria favorita dalla vicinanza di estesi pascoli. Dalla successiva tassazione di Carlo II d’Angiò del 1294 si evince che San Pietro aveva già sostituito nella propria denominazione la locuzione “de Fonte” con quella “della Genca”. Che la chiesa come il villaggio abbiamo tratto nome esclusivamente da San Pietro Apostolo, stanno a ribadirlo anche le fattezze dello stemma di San Pietro della Ienca, il quale echeggia nelle linee essenziali l’insegna vaticana, con riferimento indiretto, ma indubbiamente specifico, al primo vicario di Cristo. Si tratta, infatti di due chiavi ferree, incrociate e legate da una banda rossa in campo giallo. I colori dello stemma sono caratteristici del territorio, in quanto, per plurisecolare tradizione, il giallo veniva ricavato dallo zafferano “bastardo” (diverso da quello “selvatico”, anch’esso largamente usato per lo stesso scopo), mentre il rosso veniva ottenuto da un infuso delle radici di “rubia tinctorum” (la “robbia” o “robia”), vegetale spontaneo del comprensori di Camarda che offriva un colorante tanto efficace da venire richiesto anche da località assai remote. Antonio Ludovico Antinori riferisce nei suoi preziosi Annali di Storia Aquilana, che nel 1304 erano stati definiti i confini tra i territori di Assergi e San Pietro. L’annotazione è certamente significativa, in quanto lascia presumere che il villaggio di San Pietro disponesse fin da molto prima del sec. XIV di una fisionomia ben definita e di condizioni giuridiche e amministrative paritetiche rispetto all’importante comunità di Assergi, tanto da pretendere legittimamente l’esatta messa a punto dei rispettivi ambiti territoriali a difesa dei diritti acquisiti e della propria economia. Nel secolo seguente, però, si avviava una progressiva decadenza dell’insediamento, anche per via dell’inurbamento a L’Aquila di numerose famiglie, attratte dalle prospettive di elevazione sociale e economica assicurate dalle fiorenti attività artigianali e commerciali della nuova città.
La circostanza è attestata dalle contestazioni sollevate nel 1408 contro la tassazione del Re Ladislao; gli aquilani, infatti, sostenevano la non tassabilità di Genca, Guasto e San Pietro in quanto i primi due villaggi risultavano diruti e l’ultimo quasi del tutto disabitato. Da documenti successivi, tuttavia, si evince che la Chiesa seguitava a tenere in vita le sue attività, esigendo le“settime” e ricevendo legati. A tale proposito, Antinori annota che il villaggio veniva denominato “della Genca” probabilmente perché esso era stato una pertinenza del più importante insediamento di Genca. Comunque nel 1568 isito, risultando completamente disabitato, venne ceduto in enfiteusi perpetua alla “Terra di Camarda”, vale a dire alla comunità (Universitas) camardese a fronte di un corrispettivo annuo di 40 ducati, i quali venivano versati con atto di liberalità al monastero aquilano di Santa Caterina.
Sulla base di un documento manoscritto scoperto nell’ottocento dall’annalista Emidio Mariani e citato da Demetrio Gianfrancesco nel suo fondamentale volume sulla storia di Camarda, pare che la comunità camardese abbia acquisito il possesso enfiteutico del territorio di San Pietro soltanto un secolo più tardi, subentrando ai privati che ne avevano intanto goduto, anch’essi a titolo enfiteutico e con il medesimo canone[1].
[1] A. ANGELINI, Il villaggio di San Pietro della Ienca e la comunità di Camarda, inUna stele per il Papa a San Pietro della Ienca, L’Aquila, GTE, 1999.
supra Paganicam, et usque in supradictum Vadum”. Ciò potrebbe lasciare supporre che, all’epoca, il villaggio non fosse ancora edificato, ovvero che esso, nel 956, non avesse assunto un rilievo tale da valergli la citazione in un documento ufficiale. Tra le località sottoposte alla giurisdizione episcopale forconese citate nella Bolla che il Papa Alessandro III indirizza a Pagano, Vescovo di Forcona, il 24 settembre 1178, si notano: “Ecclesiam S. Marie de Guasto, cum hominibus, et tendi mentis suis. Ecclesiam S. Petri de Guasto cum ho minibus, et tendimentis suis. Ecclesiam S. Nicolai de Genca cum ossessionibus suis”.
L’indicazione “S. Petri de Guasto” può riferirsi soltanto all’attuale San Pietro della Ienca. Al riguardo potrebbe sussistere qualche perplessità in quanto il villaggio di Guasto (o Vasto) avrebbe potuto comprendere anche una chiesa dedicata a San Pietro, oltre quella intitolata a Santa Maria. Tuttavia l’eventualità dell’esistenza di due chiese appare decisamente improbabile data l’esiguità della popolazione presente nel villaggio. Del resto, anche alla luce di altri documenti probanti, sussistono ottime ragioni per protendere verso l’ipotesi dell’esistenza, già nel 1178, dell’insediamento di San Pietro. Angelo Signorini (Storia della Diocesi dell’Aquila, L’Aquila, Grossi, 1868) asserisce che, dopo la devastazione di Forcona per mano dei longobardi (quindi assai prima dell’anno mille) una parte degli abitanti si disperse nei territori circostanti, dando origine agli insediamenti di Roio, Pile, Acquili, Paganica, Tempera, Gignano, Vasto, San Pietro, Assergi, Camarda, Filetto e altri. E’ ovvio che alcuni di quegli abitanti, preesistenti alla devastazione di Forcona, come Paganica, Assergi e presumibilmente Acquili, furono soltanto ampliati per effetto della immissione dei fuggiaschi forconesi. Allorché fu fondata L’Aquila, nel 1254, Guasto, Genca, San Pietro, Assergi, Camarda e Filetto furono tra i villaggi fondatori appartenenti al Quarto di Santa Maria Paganica, a ulteriore dimostrazione della preesistenza di San Pietro rispetto alla nuova città fortificata. Tale inconfutabile realtà destituisce di ogni fondamento l’ipotesi da taluni avanzata circa la derivazione del nome del villaggio di San Pietro da quello secolare del Papa Celestino V. Infatti, Celestino V (al secolo Pietro del Morrone) nacque nel 1251, venne consacrato Papa nel 1294 e infine proclamato Santo nel 1317, cioè quando già da tempo la denominazione “San Pietro” distingueva la chiesa e l’intero abitato circostante. Per altro nel documento di tassazione di Ponzio di Villanova del 1269 l’abitato di San Pietro viene chiaramente indicato come “S. Petrus de Fonte” con l’imposizione di un tributo di 4 once. Poiché Camarda veniva tassata soltanto di 2 once, se ne deduce che a San Pietro fioriva un’economia di maggiore entità, probabilmente dovuto alla più diffusa e intensa attività armentaria favorita dalla vicinanza di estesi pascoli. Dalla successiva tassazione di Carlo II d’Angiò del 1294 si evince che San Pietro aveva già sostituito nella propria denominazione la locuzione “de Fonte” con quella “della Genca”. Che la chiesa come il villaggio abbiamo tratto nome esclusivamente da San Pietro Apostolo, stanno a ribadirlo anche le fattezze dello stemma di San Pietro della Ienca, il quale echeggia nelle linee essenziali l’insegna vaticana, con riferimento indiretto, ma indubbiamente specifico, al primo vicario di Cristo. Si tratta, infatti di due chiavi ferree, incrociate e legate da una banda rossa in campo giallo. I colori dello stemma sono caratteristici del territorio, in quanto, per plurisecolare tradizione, il giallo veniva ricavato dallo zafferano “bastardo” (diverso da quello “selvatico”, anch’esso largamente usato per lo stesso scopo), mentre il rosso veniva ottenuto da un infuso delle radici di “rubia tinctorum” (la “robbia” o “robia”), vegetale spontaneo del comprensori di Camarda che offriva un colorante tanto efficace da venire richiesto anche da località assai remote. Antonio Ludovico Antinori riferisce nei suoi preziosi Annali di Storia Aquilana, che nel 1304 erano stati definiti i confini tra i territori di Assergi e San Pietro. L’annotazione è certamente significativa, in quanto lascia presumere che il villaggio di San Pietro disponesse fin da molto prima del sec. XIV di una fisionomia ben definita e di condizioni giuridiche e amministrative paritetiche rispetto all’importante comunità di Assergi, tanto da pretendere legittimamente l’esatta messa a punto dei rispettivi ambiti territoriali a difesa dei diritti acquisiti e della propria economia. Nel secolo seguente, però, si avviava una progressiva decadenza dell’insediamento, anche per via dell’inurbamento a L’Aquila di numerose famiglie, attratte dalle prospettive di elevazione sociale e economica assicurate dalle fiorenti attività artigianali e commerciali della nuova città.
La circostanza è attestata dalle contestazioni sollevate nel 1408 contro la tassazione del Re Ladislao; gli aquilani, infatti, sostenevano la non tassabilità di Genca, Guasto e San Pietro in quanto i primi due villaggi risultavano diruti e l’ultimo quasi del tutto disabitato. Da documenti successivi, tuttavia, si evince che la Chiesa seguitava a tenere in vita le sue attività, esigendo le“settime” e ricevendo legati. A tale proposito, Antinori annota che il villaggio veniva denominato “della Genca” probabilmente perché esso era stato una pertinenza del più importante insediamento di Genca. Comunque nel 1568 isito, risultando completamente disabitato, venne ceduto in enfiteusi perpetua alla “Terra di Camarda”, vale a dire alla comunità (Universitas) camardese a fronte di un corrispettivo annuo di 40 ducati, i quali venivano versati con atto di liberalità al monastero aquilano di Santa Caterina.
Sulla base di un documento manoscritto scoperto nell’ottocento dall’annalista Emidio Mariani e citato da Demetrio Gianfrancesco nel suo fondamentale volume sulla storia di Camarda, pare che la comunità camardese abbia acquisito il possesso enfiteutico del territorio di San Pietro soltanto un secolo più tardi, subentrando ai privati che ne avevano intanto goduto, anch’essi a titolo enfiteutico e con il medesimo canone[1].
[1] A. ANGELINI, Il villaggio di San Pietro della Ienca e la comunità di Camarda, inUna stele per il Papa a San Pietro della Ienca, L’Aquila, GTE, 1999.